www.stratosmania.com - Lancia Stratos Official Web Site - Since 2002info@stratosmania.comthomas@popper.chMarcello GandiniNome: MarcelloCognome: GandiniLuogo di Nascita: TorinoData: 26.08.1938Professione: DesignerCurriculum Stratos: Responsabile Stile Bertone(1966 - 1979)Appunti di viaggio
Scheda PersonaleSolo i più giovani, forse, non conosceranno la sua storia, ma questo genio del design, natoa Torino il 26 agosto del 1938, è stato il creatore di molte automobili che rappresentanola vera essenza dello stile italiano a partire dalla metà degli anni ’60.Buona parte della sua arte creativa è stata infatti destinata al design automobilistico,nonostante, nella sua lunga carriera, si sia cimentato anche come stilista nel disegnoindustriale e in quello dei complementi d’arredo.Sul finire degli anni ’50, appena ventenne e spinto dalla passione per l’auto, sperimentale prime «rudimentali» elaborazioni incalzato da alcuni amici che disputano gare insalita: crea così la prima “coda tronca” della storia, segando (letteralmente) la parteposteriore della carrozzeria d una Abarth 750 Zagato saldando ai bordi una rete per polli…“All’epoca - ci ride sopra Gandini - non prestavo molta attenzione ai particolari… Eroancora troppo distante dal concetto di “stile”: si trattava per lo più di piccolemodifiche, di personalizzazioni, libere interpretazioni.”Qualche amico più facoltoso si fa invece disegnare una nuova carrozzeria da adattaresulla Osca 1500 Barchetta: con l’aiuto di un battilastra che lavora l’alluminio e lacomplicità di un carrozziere, nasce la prima creatura di Gandini.La passione è l’impulso che lo spinge a continuare le sue esperienze come libero professionista: collabora con alcunicarrozzieri minori e per questo fa la spola tra la sua città natale e Milano.“I carrozzieri più noti come Motto, Moretti, Viotti, solo per citarne alcuni, realizzavano internamente leelaborazioni da esporre ai saloni, ma certo non investivano denaro per assicurarsi l’operato di un design esterno,così era sempre più difficile farsi conoscere.”Così nel 1965 accetta la proposta che gli viene da Nuccio Bertone, che già in passato si era interessato al giovane Gandini,proponendogli di diventare responsabile dei nuovi modelli. “Pochi anni prima, dopo aver esaminato alcuni miei disegni, volle incontrarmi - ricorda il design torinese - ma nontrovammo l’accordo: il responsabile “stile” era ancora GiorgettoGiugiaro… Solo più tardi, nel 1965, quando Giugiaro assume ladirezione del Centro Stile della Carrozzeria Ghia, quel posto inBertone divenne mio…”Nasce così una lunga collaborazione che si prolunga fino al 1979, quandoGandini decide di riprendere l’attività di disegnatore indipendente,prestando la sua opera a marchi importanti del design. Attraverso la sua «matita» ha comunicato lo spirito di libertà che èproprio del suo temperamento: i lavori sono sempre originali eipermoderni, come testimonia il suo curriculum, che a ragione sarebbemeglio chiamare, percorso artistico.Il talento di Gandini è dimostrato dalle molte vetture tra le quali le piùfamose sono la Lamborghini Miura, Diablo, Countach, Spada e Urraco,Alfa Romeo Montreal e Carabo, la Ferrari Dino 308GT4, la MaseratiQuattroporte, la De Tomaso Pantera, la Bugatti EB110, la Fiat X19,oltre naturalmente, alla Lancia Stratos.Gli chiedo se tra queste ce n’è una che ricorda in particolare.“Non ho l’abitudine - risponde senza pensarci su - di associare undisegno al risultato ottenuto: voglio dire che non sono legato alsuccesso che ha avuto questa o quella vettura. Piuttosto sonoaffezionato al ricordo delle persone che hanno collaborato alprogetto o alle situazioni che hanno condizionato le fasi direalizzazione.” Per esempio?“Se penso alla Lamborghini Marzal mi torna alla memoria la notte prima del Salone di Ginevra: avevamo soltantopoche ore per finire il lavoro e a mezzanotte avevamo ancora il cambio smontato sul pavimento… Ricordo peresempio Bob Wallace, l’ingegnere inglese che McLaren portò in Italia con l’intenzione di farlo correre e che inveceapprodò alla corte di Ferruccio Lamborghini, quando assunse alle sue dipendenze il meglio tra gli ingegneri dellaFerrari e della Maserati; uomini come GianpaoloDallara, Paolo Stanzani e Giotto Bizzarini. Riuscimmoa finirla solo la mattina seguente, ma in tempo utileperché arrivasse a Ginevra.”E se le chiedo i ricordi legati alla Stratos?“Anche quelli li definirei, simpatici: la versionedefinitiva, la Gran Turismo, nacque in poco tempo esenza troppe indicazioni.”Ma la Stratos così come la conosciamo oggi, prende origine dalprototipo presentato al Salone di Torino: ci racconti l’interastoria.“Nella primavera del 1970 cominciammo a pensare qualenovità stilistica avremmo portato al Salone di Torino. Comesempre era necessario realizzare un “oggetto” che richiamasse su di sé l’attenzione dei visitatori e soprattutto degliaddetti ai lavori: l’importante come sempre era che se ne parlasse! Bertone non voleva esporre un “manichino”,pretendeva di motorizzare tutti gli esemplare da esporre e per questa nuova creatura l’idea fu di realizzare unavettura a motore centrale e trazione posteriore. Per questo comprammo una Fulvia 1.6 di seconda mano (e anchemolto male in arnese…) ma a noi interessavano soltantoil motore e il cambio.”E quel prototipo è ancora oggi avveniristico.“Come le ho gia detto, era inutile, allora come oggi,presentare un esercizio stilistico che non colpissel’immaginazione.”L’obiettivo venne centrato e il prototipo Stratos HFaffascinò e stupì i visitatori dell’esposizione grazie alle sueforme avveniristiche. Le misure parlano da sole: era largoben un metro e 87 centimetri, lungo tre e mezzo con unpasso di due metri e 22 centimetri e l’altezza ridotta a soli84 centimetri. Il peso complessivo dichiarato: 710 Kg. Nonostante si trattasse di una vera e propria «dream car»,lo studio rivoluzionario di Bertone aveva comunque gettatole basi per un auto a motore centrale che consentisse disfruttare al meglio un elevata potenza.Tra i visitatori dell’esposizione uno in particolare se neinnamora, ma non soltanto del prototipo che si trovava esposto nello stand, ma di ciò che mentalmente era già in grado diimmaginare: questi è Cesare Fiorio, già promettente direttore del Reparto Corse della Lancia che intravede in quel primoesemplare l’opportunità di realizzare la nuova «arma assoluta» per rilanciare la Casa di Chivasso nei rally.“Un mattino - prosegue Gandini -venne a trovarmi Cesare Fiorio accompagnato dal padre Sandro, che all’epoca eraResponsabile delle Pubbliche relazioni della Lancia: voleva trasformare quel prototipo in una vettura da rally… Cosadeve fare una vettura da rally? gli chiesi meravigliato! Deve essere leggera e maneggevole, rispose… Non era facilerealizzare ciò che mi stavano chiedendo, ma Nuccio Bertone e Cesare Fiorio ne erano entusiasti.”Come più volte ricordato nelle pagine di stratosmania.com, la storia di questa straordinaria autovettura si deve in modoparticolare a due figure che recitarono un ruolo fondamentale per la riuscitadel progetto: da una parte Nuccio Bertone e dall’altra l’ingegner PierugoGobbato, il Direttore Generale della Lancia. Il 17 febbraio del 1971 Nuccio Bertone, accompagnato da Gian Beppe Panicco,presenta il prototipo «Zero» ai vertici della Lancia: il Direttore GeneralePierugo Gobbato, con la complicità di Umberto Agnelli, decide a favore delprogetto. Determinante è però l’apporto di Cesare Fiorio che sfruttando al meglio la suastrategica posizione e utilizzando con intelligenza gli innumerevolicollegamenti all’interno dell’impero Fiat, convincere Gobbato a far valere,pur tra mille difficoltà, la Stratos come nuova arma per le competizioni. Così com’è però, la Stratos non va bene: serve maggiore “concretezza”. Occorre trasformarla in una vettura più alta e piùcorta, con porte tradizionali (e non con l’accesso dal parabrezza…) edotarla di un motore più potente del 4 cilindri della “Fulvia Coupé”utilizzato per il Salone di Torino.Marcello Gandini comincia a lavorare al progetto…“Non è che mi avessero detto un gran ché: sapere che dovevaessere leggera e maneggevole non bastava. Che motore avremmomontato? Come doveva essere il telaio? Vestire una automobilesenza conoscere nello specifico la meccanica era un compitoinfelice… Così lavorammo ad un paio di soluzioni ma restava l’incognita del motore: Ferrari non sembravainteressato a cedere il suo 6 cilindri alla Lancia e pertanto il Reparto Corse non era in grado di fornirci i disegni. Ciarrivavano le indicazioni più disparate: dal motore dell’Aurelia al quattro cilindri della Beta, ma sia Bertone cheFiorio erano convinti che sulla Stratos, alla fine, si sarebbe dovuto montare il Ferrari Dino.”E infatti, al termine di una estenuante trattativa, Gobbato riesce ad aggiudicarsi la fornitura dalla casa di Maranello.“Si, è proprio così… Curioso però che nessuno si sia chiesto come mai quel motore calzasse alla perfezione nel telaiodella Stratos…”Cosa intende dire?“L’impiego di un motore implica, in fase diprogettazione, uno studio accurato degli ingombri, deipassaggi, degli scatolati. Insomma tutta la strutturadel telaio è interessata dalle dimensioni delpropulsore.”Sapevo che per effetto di questa incertezza venne chiesto di realizzare un ampio vano motore proprio per consentire diposizionare un propulsore anche di grandi dimensioni come, per esempio, il Maserati V8 della Citroen Merak...“Anche questo è vero, eppure, quando Ferrari si decise a fornire i motori, il Dino calzava a pennello e gli attacchicombaciavano perfettamente…”Effettivamente è curioso...“Guardi, questo non l’ho mai raccontato a nessuno… - Gandini sorride e poi continua - All’epoca in Bertone stavodisegnando anche la Ferrari 308 GT4 che, almeno inizialmente, avrebbe dovuto montare il Dino V6: per questo inmagazzino disponevo di un’unità completa per procedere con il progetto. É vero che la Lancia non mi aveva ancoratrasmesso i disegni, ma io possedevo già il motore originale! D’altra parte deve sapere che per gli ingombri dellacascata degli ingranaggi è necessario prevedere uno spazio ben definito: per riuscire poi a far entrare il motore nelvano, fui costretto a studiare, con l’aiuto di un disegnatore esterno (e per una notte intera) una struttura a“cavatappi” …” Un altro piccolo scoop di stratosmania.com! “Certo all’epoca non potevo dire alla Lancia che disponevo di un Ferrari Dino V6 perché stavo lavorando alla 308GT4, ma mi sorprende che nessuno si sia mai chiesto perché il telaio della Stratos, pur senza precise indicazioni, sembrava proprio fatto su misura per quel motore…!”Gandini quindi, riuscì a trarre vantaggio per il progetto della Stratos daun’altra vettura che venne realizzata due anni più tardi e per la qualevenne preferito l’otto cilindri a V di 90°!E la carrozzeria a che punto era?“Di modelli ne avevamo fatti un paio, ma nessuno ci convinceva: siavvicinavano levacanze estive e ilnostro impegno eraquello di presentarlain autunno, per ilSalone di Torino. Iltempo stringeva. Cosìdecisi di continuare alavorare anche nelmese di agosto:radunai alcuni tra imigliori modellisti, DiCamillo, Bottalico eGasparro, tutti e tre abruzzesi di Sulmona e nel giro di quindici,venti giorni il modello definitivo della Stratos venne realizzato.Dipinto con una mano di Ducotone beige, con i vetri di cartonecolorati di nero, venne presentato ai vertici della Lancia di ritornodalle vacanze estive. Il modello era stato ricavato spaccando in duei precedenti: era pieno di buchi e per questo un po’ malandato.Gobbato fu uno dei primi a vederlo: non espresse nessun giudizio, ma era evidente che non fosse proprioentusiasta…”Di quel modello restano soltanto alcune fotografie, realizzate all’interno del Centro Stile Bertone, per pubblicizzare lanuova nata. Pochi mesi più tardi, nel novembre del 1971, Bertone presenta al Salone Internazionale dell’Automobile diTorino, il primo esemplare della Lancia Stratos: un compatto Gran Turismo che, sia pur nella veste stradale, lascia presagirela temibile versione da competizione. La carrozzeria era costruita in alluminio: si trattava di un modello statico poichél’accordo con Ferrari non era ancora stato raggiunto (verrà siglato qualche mese più tardi, e precisamente l’11 febbraio del1972).La realizzaziobe dei primi esemplari della Stratos comincia il 23 luglio del 1972, mentre la produzione ebbe inizio un annopiù tardi presso gli stabilimenti della Bertone a Grugliasco, nei pressi di Torino.“Facemmo alcune modifiche prima di cominciare laproduzione di serie: il passo degli esemplari esposti neisaloni era di 2 metri e 16 centimetri mentre quellodefinitivo venne allungato di due centimetri. Cambiammo il disegno delle prese d’aria sul cofanoanteriore e modificammo qualche altro particolare suindicazioni che ci vennero fornite direttamente dallaLancia. Ricordo che il progetto prevedeva anche lesospensioni posteriori a quadrilateri, invece poi siutilizzò lo schema McPherson. In Bertone ci occupammoprincipalmente dell’assemblaggio e della verniciatura,più che della produzione vera e propria,appoggiandocianche alla Silver Car di Caramagna.Per problemi più dibudget che strutturali, si decise di far costruire i telaia Modena, mentre alcune parti della carrozzeria eranoopera della TIR a Reggio Emilia: questa realizzava lecarrozzeria in resina per la Ferrari e i particolariprodotti vennero impiegati soprattutto per le corse.Erano più leggeri e resistenti, ma anche molto più cari… Il resto invece venne prodotto dalla Socar, una società delGruppo Bertone.”L’avventura della Stratos si esaurisce con la produzione diserie dei 500 esemplari per ottenere l’omologazione inGruppo 4?“Niente affatto: la collaborazione con la Lancia duradal 1972 a tutto il 1979. Nella mia esperienza inBertone amministro la “Stile” che realizza tutte lemodifiche strutturali di cui il Reparto Corse Lancianecessita per correre nei rally. Realizziamo i rinforziper gli attacchi delle sospensioni, le carrozzeriespeciali e alleggerite, persino le protezioni utilizzatedurante il Safari Rally erano opera nostra.”Quindi operavate in sinergia con il Reparto Corse dellaLancia?“Certamente: conoscevamo bene la vettura, ogniparticolare era stato disegnato (e spesso realizzato)all’interno degli stabilimenti Bertone. Quindilasciavano a noi il compito di modificare le parti necessarie, seguendo le specifiche che ci venivano fornite dalReparto Corse.”Ci furono modifiche particolarmente impegnative?“Ricordo che ci venne richiesto di “allungare” il passodella versione Turbo da impiegare in pista. Se all’iniziodel progetto si pretendeva maneggevolezza, più avantilo sviluppo e il conseguente incremento della potenza,esigeva una maggiore stabilità. Non era pensabilericorrere alla costruzione di un telaio ex-novo,pertanto recuperammo le parti sane di due Stratosincidentate: una volta segate a metà, le saldammoinsieme…”A trent’anni di distanza, cosa cambierebbe della Stratos?“Dopo trent’anni nulla, è passato troppo tempo. Per fortuna ti accorgi degli eventuali errori in fase di progetto equindi ti attivi per apportare le modifiche di conseguenza. La situazione peggiore si verifica quando vorrestimodificare qualcosa ma non ne hai più il tempo! Probabilmente, dopo qualche anno, ci si accorse che la Stratos eraun po’ troppo leggera all’avantreno e qualchecentimetro in più nel passo l’avrebbe resa più stabilesul veloce. Per quanto riguarda lo stile invece,bisogna ricordare che i gusti cambiano: all’epoca sipreferiva un’automobile più affusolata. Rispetto alleauto di oggi la Stratos ha poco volume sullefiancate.”Così ha rivisitato le forme della Stratos per il prototipodi Stola?“Stola è un grande appassionato di Stratos e michiese di interpretarla in chiave più moderna: ildesiderio era quello di poterla ancora chiamare così,invece restò un semplice esercizio stilistico che allafine prese il nome dalle mie iniziali.”A proposito: a chi venne in mente nel 1970 di chiamarlaStratos?“È molto semplice. In Bertone lavorava un giovanotto(mi pare sia andato in pensione proprio l’annoscorso…) che si dedicava alla costruzione di modelli in scala di aerei. Per un breve periodo seppe trasmettermiquesta passione: ero meticoloso nel disegno ma non avevo la pazienza sufficiente per dedicarmi a questo hobby:incollare legnetti non era affar mio! Comunque sia, nell’entusiasmo iniziale, acquistai in Germania un veleggiatoreche si chiamava Stratos. Quel nome evocava spazi infiniti e mi sembrò accompagnare bene le linee futuribili del“Prototipo Zero” che stavo disegnando. Poi c’era anche il progetto degli Stratò, un paio di sci che poi non venneromai realizzati. Insomma, tra il semplice Stratos del veleggiatore e gli sci Stratò, venne deciso di aggiungerequell’apostrofo che trasformò il logo della Stratos in Strato’s. Mi dispiace: forse la storia del nome non è propriooriginale, però andò proprio così…”“Gobbato fu uno dei primi a vederla: ma era evidente che non fosse entusiasta...”Sono tante le versioni, più o meno accreditate, sulla nascita del nomeStratos (o meglio Strato’s con l’apostrofo): Nuccio Bertone amavadefinire il primo esemplare esposto al Salone di Torino del 1972 con ilnome “Stratoslimite” proprio per rafforzare (qualora ce ne fosse statobisogno...) il progetto avveniristico, opera di Marcello Gandini.Altri attribuiscono l’origine al primo paio di sci realizzati in fibra di vetropresentati nel 1964 dalla Rossignol: gli Strato (o Stratò, alla francese).Il produttore della val d’Isère si rivolse a Bertone per il design, ma lacollaborazione non ebbe seguito.Marcello Gandini invece, ci racconta la sua di versione...